Romanziere più volte candidato al premio Nobel per la letteratura, nacque a Vicenza nel 1842 da una ricca e colta famiglia borghese. Le sue radici venete e i luoghi dell'infanzia (come la Valsolda) diedero un'impronta indelebile alle descrizioni dei suoi paesaggi e rappresentarono il filo conduttore di molti suoi scritti. La sua famiglia, profondamente cattolica e patriottica, lo spinse fin da subito a frequentare gli ambienti ecclesiastici; la stretta parentela del padre con diversi religiosi (gli zii paterni erano prete e suora) lo familiarizzò con questa realtà e lo spinse a creare legami duraturi con altri religiosi al di fuori delle mura domestiche (come l'imperituta amicizia con il suo vecchio professore di liceo: l’abate Giacomo Zanella).

Nel 1858 F. si trasferì a Padova con il padre per frequentare i corsi di giurisprudenza all'università, mentre la madre e la sorella rimasero a Oria, in Valsolda, luogo d'origine della famiglia materna. Dopo gli eventi risorgimentali del 1859-60, la famiglia si riunì dapprima a Torino, dove F. si laureò in Giurisprudenza, e poi a Milano, dove F. venne avviato all'attività forense e, con grande soddisfazione del padre, convolò a nozze con la Contessa Margherita di Valmarana (1866). Intanto F. aveva già accantonato la fede cattolica durante gli anni universitari (complici le letture di V. Hugo, H. Heine, F. Chateaubriand e W. Scott) e cercava svogliatamente di emanciparsi dalla fortissima influenza paterna, quando venne introdotto da Arrigo Boito nell'ambiente degli scapigliati milanesi.

Pur non trovando interesse per l'ambiente troppo poco conservatore e ribelle degli scapigliati, la frequentazione di ambienti letterari, unita all’influenza dell'abate G. Zanella e dello zio Don G. Fogazzaro, furono importanti punti di partenza per la messa in atto delle sue prime prove letterarie, fino ad allora solo fantasticate nel privato della mente (F. era solito vivere delle fantasie di ogni genere e la letteratura ne era il lasciapassare). Dopo tre anni d'esperienza da collaboratore in uno studio legale (senza molto successo), F. decise di tornare definitivamente a Vicenza per dedicarsi all’attività letteraria.

L’esordio avvenne nel 1874 con la novella in versi Miranda, di cui il padre, folgorato, curò la pubblicazione a proprie spese (dopo aver cercato invano di trovare un editore e sollecitare professionisti e critici letterari), cui seguì un famoso commento di Francesco De Sanctis all'autore:

«La maniera pare un po' arida e asciutta ma l'autore ha voluto così fare per reagire contro la morbosa abbondanza de' nostri periodi poetici e per stare un po' più dappresso alla natura. Forse ha oltrepassato il segno, come fanno tutte le reazioni. Ci ho trovato dei bei motivi psicologici, ma poca ricchezza e poca serietà nel loro sviluppo e nelle loro gradazioni. Il meno interessante è Enrico. Il suo Libro non ci mostra che velleità di poeta e di amante e nessuna potenza a esser l'uno o l'altro. E se l'autore mi dirà che questo appunto voleva significare, allora la forma doveva esser comica e ironica, e il lavoro doveva riuscire tutt'altro.
Miranda è un carattere muto, come direbbero i tedeschi, che si sviluppa poco a poco sotto la fiamma latente dell'amore. Concezione bellissima e anche originale, ma poco studiata e poco scrutata. Che l'autore abbia la forza di far meglio si vede in certi momenti psicologici colti felicemente e ben rappresentati, specialmente nel Libro di Miranda. Questi difetti organici producono una monotonia che giunge talora sino alla stanchezza e all'ineloquenza, un difetto d'espressione, un soverchio di muta concentrazione che può nutrire una scena, ma non una poesia così lunga.

 

(Lettera di Francesco De Sanctis al padre di F., in Gallarati Scotti, p. 53)

Nel 1876 F. pubblicò la raccolta di poesie Valsolda, ma la raccolta non ebbe il successo sperato e accrebbe la delusione del pubblico e della critica. Dopo questo ulteriore fallimento, e un ritrovato impulso cattolico, F. decise di accantonare la poesia per interessarsi alla forma romanzo; da questa nuova maturazione stilistica scaturirono i grandi successi di F., con la pubblicazione nel 1881 di Malombra, che ottenne un favorevole consenso del pubblico, bissato poi da un secondo romanzo, Daniele Cortis (1885), uno dei primi esempi di romanzo ispirato alla vita politica romana (molto lodato da Giuseppe Giacosa e da Giovanni Verga, che contribuirono alla sua diffusione). Il successo dei due romanzi confermarono lo scrittore e lo avviarono verso la grande popolarità della sua tetralogia, costituita da Piccolo mondo antico (1895), Piccolo mondo moderno (1901), Il Santo (1905) e Leila (1910).

Nel 1887 morì l'amato padre di F., immortalato poi nel protagonista di Piccolo mondo antico, e a questo terremoto si aggiunse lo studio della teoria darwiniana (1889), che era già da diversi decenni al centro del dibattito internazionale; la rivelazione dell'Origine delle specie (The Origin of Species, 1859) di C. Darwin rappresentò una frattura nell'impianto ideologico dell'autore, che decise di appoggiare l'opera di Darwin a scapito delle critiche. Nel 1894 F. decise di cessare la relazione extraconiugale con la Buchner (iniziata nei primi anni '80 dell'Ottocento), ma il periodo venne scandito anche dalla morte prematura del figlio ventenne (1895). Malgrado la tragedia, lo stesso anno venne pubblicato Piccolo mondo antico e l'opera, accolta fin da subito come il capolavoro dell'autore, fu molto lodata dai critici per il suo equilibrio e l'attenzione poetica ai dettagli (spesso modesti) della vita quotidiana; il successo del romanzo fu tale da spingere re Umberto I a favorire l'autore nominandolo senatore del Regno d'Italia.

I successi e la grande popolarità del fenomeno F. portarono anche opposizioni decise nel mondo ecclesiastico all'uscita dei romanzi successivi: il Santo e Leila furono messi all’Indice dalla Chiesa, in quanto F. ne fece la rappresentazione di un tentativo di conciliazione tra la dottrina evoluzionistica di C. Darwin e la fede cattolica, prendendo in causa il modernismo cattolico già condannato ufficialmente dall’enciclica Pascendi (1907) di Pio X come «sintesi di tutte le eresie». Ormai malato e deluso dalle accuse alle sue opere, morì nel 1911.

 

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