Poeta maggiore dell’epica cavalleresca, nacque a Reggio Emilia nel 1474, da Niccolò e Daria Malaguzzi Valeri. All’età di dieci anni si trasferì con la famiglia a Ferrara, dove il padre era stato nominato tesoriere generale delle truppe (successivamente a capo dell’amministrazione comunale). Qui venne indirizzato dal padre agli studi giuridici (dal 1489 al 1493) ma dimostrò una predilezione molto accesa per lo studio delle lettere e dopo cinque anni ebbe il permesso di volgersi agli studi linguistici e alla letteratura latina, sotto la guida del monaco agostiniano Gregorio da Spoleto. La prematura scomparsa del padre, lo costrinse a dedicarsi alla cura e al sostentamento dei suoi numerosi fratelli minori, e per quanto si sforzò tutta la vita di conciliare la sua naturale propensione letteraria con le incombenze pratiche si trovò sempre l’animo fiaccato dalla sua intensa attività lavorativa. Nel 1503 entrò al servizio del cardinale Ippolito d’Este, figlio del duca Ercole I, e lo stesso anno prese gli ordini minori, che gli valsero alcuni benefici ecclesiastici. I suoi anni alla corte come funzionario furono caratterizzati da un’intensa attività diplomatica a cui si accompagnò un’incessante produzione letteraria: intorno al 1506 infatti, avviò la stesura dell’Orlando furioso e da quel momento si dedicò costantemente al poema per tutta la vita. Come ha notato il critico Lanfranco Caretti, A. ebbe «una carriera artistica con un solo libro al centro, impostato ed elaborato, corretto e ricorretto senza soste per trent’anni, non abbandonato definitivamente neppure sulle soglie della morte». Nello stesso periodo scrisse, e mise in scena, per il teatro di corte due commedie in prosa: la Cassaria e I Suppositi. Dopo l’elezione di Leone X (Giovanni de’ Medici), puntando sull’amicizia di quest’ultimo, A. si recò a Roma nel 1513, con Alfonso e Ippolito d’Este, con la speranza d'ottenere una prestigiosa carica ecclesiastica, ma il viaggio non ebbe esito favorevole, e nel giugno dello stesso anno, nel corso di un soggiorno a Firenze, A. si dichiarò ad Alessandra Benucci Strozzi, moglie di Tito Strozzi, e diede inizio a una relazione sentimentale che durò per tutta la vita. La donna, rimasta vedova nel 1515, si trasferì a Ferrara, ma la celebrazione del matrimonio avvenne segretamente solo nel 1527, lui per non perdere i benefici ecclesiastici e lei per tutelare le figlie e godere della rendita dei beni del defunto marito.

Nel 1516 A. pubblicò la prima edizione dell’Orlando Furioso in quaranta canti. Negli stessi anni pubblicò anche le Satire (1517-25), una sorta di «autobiografia morale» del poeta. Nel 1518 A. riprese la sua attività di commediografo di corte con la commedia in versi intitolata I Studenti (rimasta però incompiuta) e, nel 1520, con Il Negromante. L’anno dopo pubblicò la seconda edizione del Furioso, anch’essa in quaranta canti ma con lievi correzioni linguistiche e stilistiche. Nel 1522 ricoprì l’incarico di governatore di Castelnuovo in Garfagnana e vi restò tre anni, dovendo fronteggiare situazioni assai spinose, a causa del brigantaggio e della turbolenza dei signorotti locali. Tornato a Ferrara, A. acquistò una casa in contrada Mirasole (oggi via Ariosto), sulla cui facciata fece fare un’iscrizione che citando Orazio recitava: «Parva sed apta mihi» (“Piccola ma adatta a me”). Ormai in grado di vivere di rendita, Ariosto poté finalmente dedicarsi a tempo pieno all’attività letteraria e in particolare alla produzione drammaturgica e alla revisione del suo capolavoro. Nel 1528 scrisse la sua commedia migliore, la Lena, e nello stesso periodo riscrisse in endecasillabi sdruccioli la Cassaria (1528) e i Suppositi (1531). Nel 1532, dopo un decennale lavoro di revisione linguistica, stilistica e di ricomposizione strutturale, pubblicò la terza e ultima redazione del Furioso, in quarantasei canti con l’aggiunta di nuovi episodi. Morì a Ferrara nel 1533, e nel 1801 le sue spoglie furono traslate nella sala maggiore della Biblioteca Ariostea di Ferrara.

 

 

 

 

 

 

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GLOSSARIO

endecasillabi sdruccioli
Nella metrica italiana, l'endecasillabo (dal greco antico ἑνδεκασύλλαβος, «hendecasýllabos») è il verso in cui l'ultimo accento, tonico e ritmico, cade obbligatoriamente sulla decima sillaba. L'endecasillabo sdrucciolo è quello in cui il verso è costituito da dodici sillabe metriche.